FICHTE

FICHTE 

Johann Gottlieb Fichte è stato un filosofo tedesco, continuatore del pensiero di Kant e iniziatore dell'idealismo tedesco. Le sue opere più famose sono la Dottrina della scienza, e i Discorsi alla nazione tedesca, nei quali sosteneva la superiorità culturale del popolo tedesco incitandolo a combattere contro Napoleone. 



1) L'Io pone se stesso

L'Io pone sé stesso (tesi)


Nella filosofia aristotelica il principio su cui si fondava la scienza era quello di non contraddizione: «A ≠ non A» (A è diverso da non A). 

La filosofia moderna e la stessa filosofia kantiana pongono invece l'accento sul principio di identità: «A = A» (A è uguale ad A).


Fichte afferma che entrambi i principi sono però da giustificare, in quanto derivano a loro volta da uno più generale: l'Io. 

Se non ci fosse l'Io, non sarebbe possibile affermare i primi due principi. 


È l'io che pone il legame logico A = A, e che quindi pone lo stesso A, mentre l'Io non è posto da nessun altro se non da sé medesimo. Poiché è condizionato solo da sé, l'Io si autopone affermando «Io = Io».

Secondo Fichte, ciò che viene comunemente chiamato "cosa", oggetto, non è altro che il risultato di un'attività. 


Nella metafisica classica si diceva: operari sequitur esse («l'azione consegue all'essere»), Fichte ora afferma: esse sequitur operari («l'essere consegue all'azione»).


L'Io fichtiano è, quindi, l'intuizione intellettuale che Kant riteneva impossibile all'uomo poiché coincidente con l'intuizione di una mente creatrice.

L'Io non coincide con il singolo io empirico, ma è l'Io assoluto da cui tutto deriva.


2) L'Io oppone a sé un non-io

All'Io si oppone un non-io (antitesi)


Poiché non esiste pensiero senza contenuto, una coscienza pensante si costituisce come tale solo in rapporto ad oggetti "pensati". 


Fichte giunge così ad una seconda formulazione, antitesi della prima: «L'Io pone nell'Io il non-Io», in base


al principio spinoziano omnis determinatio est negatio («ogni affermazione comporta la sua negazione»). 

Il non-Io rappresenta tutto ciò che è opposto all'Io ed è diverso da questo. La necessità del non-io è data dal fatto che occorre qualcosa di esterno perché si attivi la conoscenza.

L'attività di «colui che pone» implica che qualcosa sia «posto», e quindi lo scaturirsi di un non-io.

Il non-io è ora all'interno dell'Io originario poiché all'infuori dell'Io non può esistere nulla. Ma il non-io, a 

sua volta, limita l'io posto nel primo principio, il quale non possedendo ancora tutto il contenuto della realtà oggettuale genera l'esigenza di una conciliazione.


3) L'Io oppone, in sé, a un io divisibile un non-io divisibile


Nell'Io è posto un io divisibile accanto a un non-io divisibile (sintesi): io e non-io diventano molteplici.

Il terzo principio rappresenta così il momento della sintesi. 


L'Io assoluto è costretto a porre un "Io" empirico, finito, limitato, e quindi divisibile, da contrapporre al non-Io, anch'esso divisibile. 


Solo ciò che è infinito, infatti, non può essere diviso. Si giunge pertanto alla formulazione: «L'Io oppone,


nell'Io, all'io divisibile un non-io divisibile». L'opposizione tra io e non-
io non avviene in modo netto, ma in maniera dialettica,  tale che essi, pur limitandosi l'un l'altro, si determinano anche a vicenda.

Il terzo principio dà luogo alla loro mediazione, con cui l'Io prende coscienza di essere non solo opposto al non-io, ma anche limitato da quest'ultimo, suddividendosi nella molteplicità.


La reciproca limitazione dell'io e del non-io consente di spiegare sia i meccanismi dell'attività conoscitiva sia di quella morale, superando il dualismo kantiano. In particolare:

  • L'Io determinato dal non-io fonda l'aspetto dell'attività teoretica.
  • Il non-io determinato dall'Io fonda, invece, l'attività pratica.

Mentre infatti nella conoscenza l'oggetto precede il soggetto, nell'azione sarà il soggetto a precedere e determinare l'oggetto, il quale sorge per farsi strumento della sua libertà.



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